La motivazione generica e priva di riferimenti concreti determina l’annullamento del diniego
Negli ultimi anni, sempre più studenti stranieri si vedono negare il visto per motivi di studio da parte delle rappresentanze consolari italiane — spesso con provvedimenti standardizzati, privi di spiegazioni reali o fondati su mere presunzioni.
Dietro queste decisioni “automatiche” si nasconde un problema sistemico: una valutazione frettolosa e superficiale delle domande, che finisce per ostacolare il diritto allo studio e compromettere l’immagine stessa dell’Italia come Paese di cultura e formazione.
Dinieghi “a fotocopia” con provvedimenti si limitano a formule generiche come:
Non sussistono sufficienti garanzie sul reale scopo del soggiorno
oppure
Il richiedente non ha dimostrato adeguate risorse economiche
Spesso, però, lo studente ha effettivamente prodotto tutta la documentazione richiesta, ha ricevuto una lettera di ammissione ufficiale da un’università italiana e dispone di mezzi di sostentamento adeguati.
Il problema non è dunque nella domanda, ma nel modo in cui viene esaminata: istruttorie sommarie, richieste aggiuntive non previste dalla legge e motivazioni stereotipate che non spiegano le reali ragioni del diniego.
La normativa italiana ed europea impone all’amministrazione un preciso obbligo di motivare ogni decisione che incide negativamente sui diritti dei cittadini (art. 3 della L. 241/1990).
Il consolato, prima di rigettare la domanda, deve:
- verificare con attenzione la documentazione prodotta;
- consentire all’interessato di chiarire eventuali dubbi;
- indicare in modo puntuale i motivi per cui la richiesta è stata rifiutata.
Un diniego che si limita a formule vaghe o prestampate è illegittimo per difetto di motivazione e può essere impugnato davanti al TAR del Lazio, competente per tutti i visti consolari.
In molti casi, le decisioni sembrano basarsi non su una valutazione individuale, ma su automatismi o pregiudizi.
Capita, ad esempio, che studenti provenienti da determinati Paesi siano considerati “a rischio immigrazione irregolare” e che, di conseguenza, il loro visto venga negato a priori, anche quando il progetto di studio è serio e documentato.
Tali prassi contrastano apertamente con:
- l’art. 4 del D.Lgs. 286/1998, che richiede una valutazione individuale della domanda;
- l’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che garantisce il diritto a una buona amministrazione;
- la giurisprudenza del TAR Lazio, che più volte ha annullato dinieghi “standardizzati” per carenza istruttoria.
Ricorrere contro il diniego: come e quando
Chi riceve un rigetto ingiusto ha diritto di impugnare il provvedimento entro 60 giorni davanti al TAR Lazio – Roma, anche se risiede all’estero.
Il ricorso, assistito da un avvocato, può chiedere:
- la sospensione cautelare del diniego, per non perdere l’anno accademico;
- il riesame della domanda con obbligo per il Consolato di rivalutare la posizione.
In molti casi, il giudice amministrativo riconosce la fondatezza delle doglianze e ordina la riconsiderazione del visto, soprattutto quando il Consolato non ha svolto un’istruttoria adeguata o ha motivato in modo generico.
L’Italia è uno dei Paesi più attrattivi per la formazione universitaria e artistica, ma il sistema dei visti rischia di trasformarsi in una barriera burocratica ingiustificata.
Gli studenti stranieri non chiedono privilegi: chiedono solo che la loro domanda venga valutata correttamente, con trasparenza e rispetto.
Per questo, un diniego immotivato non va accettato come inevitabile.
Chi si trova in questa situazione può e deve far valere il proprio diritto a una valutazione equa, attraverso un ricorso ben fondato e documentato.
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