Contenzioso internazionale: i limiti del non refoulement nelle zone di transito
I casi di Ungheria, Polonia e Lituania
Il principio di non refoulement costituisce uno dei pilastri del diritto internazionale dei rifugiati e del sistema europeo di tutela dei diritti fondamentali.
È radicato nella Convenzione di Ginevra del 1951, nella CEDU, nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE e nella giurisprudenza consolidata della Corte EDU e della Corte di Giustizia.
Negli ultimi anni, tuttavia, la sua applicazione è stata messa alla prova da nuove prassi di controllo migratorio alle frontiere esterne dell’Unione.
Un numero crescente di stati, in particolare Ungheria, Polonia e Lituania, ha introdotto norme e procedure che limitano l’accesso alla procedura d’asilo.
Nelle cosiddette zone di transito, aree di frontiera in cui i richiedenti vengono trattenuti o respinti con procedure accelerate.
Ciò ha aperto un nuovo fronte di contenzioso internazionale, sollevando interrogativi sulla compatibilità di tali misure con gli obblighi di tutela effettiva.
Ungheria: l’esperimento delle transit zones e la condanna della Corte UE
L’Ungheria è stata il primo Stato membro a introdurre un sistema strutturato di zone di transito, principalmente a Röszke e Tompa, lungo il confine con la Serbia.
Per anni tali aree sono state utilizzate per trattenere richiedenti asilo e per limitare l’accesso alla procedura.
La Corte di Giustizia dell’UE ha dichiarato queste pratiche incompatibili con il diritto dell’Unione, evidenziando come l’automatismo del trattenimento e i respingimenti a catena verso la Serbia violassero direttive e procedure, oltre all’art. 4 della Carta (divieto di trattamenti inumani).
Sotto la pressione delle sentenze europee, Budapest ha formalmente chiuso le zone di transito, mantenendo però strumenti normativi che continuano a rendere di fatto inaccessibile la domanda di protezione internazionale.
Polonia: restrizioni normative e respingimenti lungo il confine bielorusso
Il caso polacco è più recente e riguarda soprattutto la gestione della frontiera con la Bielorussia. Varsavia ha approvato una legge che consente respingimenti immediati di persone entrate irregolarmente, anche se intenzionate a chiedere protezione.
Le richieste di asilo possono essere dichiarate irricevibili senza una valutazione individuale, con possibilità di rimpatrio rapido.
Queste prassi hanno generato una serie di ricorsi alla Corte EDU, che in più occasioni ha adottato misure provvisorie, chiedendo alla Polonia di garantire accesso effettivo alla procedura e di evitare respingimenti sommari.
Nonostante ciò, il meccanismo dei blocchi di frontiera continua a creare un limbo giuridico che espone a rischi concreti di violazione del non refoulement.
Lituania: l’emergenza dichiarata e la detenzione generalizzata
La Lituania ha introdotto misure ancora più rigide durante la crisi del 2021, dichiarando lo stato di emergenza e predisponendo trattenimenti prolungati e automatici per chiunque avesse attraversato il confine dalla Bielorussia.
La normativa ha previsto la possibilità di ritardare per mesi la registrazione delle domande d’asilo, lasciando le persone in condizioni assimilabili a una detenzione di massa in zone di frontiera.
Anche in questo caso la Corte EDU ha censurato la mancanza di garanzie procedurali e l’assenza di controlli giurisdizionali effettivi sul trattenimento.
Le autorità lituane hanno introdotto modifiche, ma le criticità restano, soprattutto riguardo alla proporzionalità delle misure e alla valutazione individuale del rischio in caso di rimpatrio.
Il comune denominatore: la ricerca di zone grigie giuridiche
I tre casi presentano un filo conduttore: il tentativo degli Stati di trasformare le zone di transito in spazi giuridicamente eccezionali, in cui derogare in modo esplicito o implicito agli obblighi internazionali.
Le tecniche utilizzate sono simili:
- ritardo o impedimento dell’accesso alla procedura d’asilo
- respingimenti immediati senza valutazione individuale
- forme di trattenimento di fatto senza garanzie
- limitazione del controllo giurisdizionale
- creazione di procedure accelerate che rendono quasi impossibile il ricorso
Queste misure mirano a spostare la linea di applicazione delle tutele, ma inevitabilmente si scontrano con l’obbligo inderogabile del non refoulement, che non permette zone franche né eccezioni territoriali.
Perché si apre un nuovo fronte del contenzioso internazionale
Il moltiplicarsi di ricorsi alla Corte EDU, le procedure d’infrazione della Commissione Europea e la crescente attenzione delle Nazioni Unite mostrano che la partita è tutt’altro che chiusa.
Le zone di transito diventano oggi il laboratorio in cui si misura:
- la tenuta del sistema europeo di asilo,
- la portata del non refoulement,
- il bilanciamento tra controllo delle frontiere e diritti fondamentali.
Il rischio è che si consolidi una prassi comune di esternalizzazione o elusione, con un effetto domino sugli altri Stati membri.
Per questo il dibattito giuridico e politico su queste misure è destinato a rimanere centrale nei prossimi anni.
Conclusioni
Le esperienze di Ungheria, Polonia e Lituania mostrano che il vero terreno di scontro non è più la semplice gestione dei confini, ma la definizione del perimetro dei diritti fondamentali nelle zone di transito.
Il principio di non refoulement, già solido nei testi normativi, deve oggi riaffermarsi anche nella pratica, attraverso il controllo giurisdizionale e il dialogo tra le Corti europee.