9 Stati contro la Corte EDU
Analisi politico-giuridica sulla sfida alla giurisdizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia immigrazione
Negli ultimi mesi, 9 stati dell’Unione Europea, tra cui Austria, Danimarca, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia, Lituania e Estonia, hanno apertamente criticato l’estensione dei poteri della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) in materia di migrazione e asilo, chiedendo una revisione delle regole che limitano la discrezionalità degli Stati nelle politiche di controllo delle frontiere.
Si tratta di una presa di posizione senza precedenti che, al di là dell’aspetto politico, solleva interrogativi profondi sulla tenuta del sistema convenzionale europeo dei diritti umani.
La crescente pressione migratoria lungo le rotte balcaniche e mediterranee ha alimentato, negli ultimi anni, un approccio sempre più securitario da parte di diversi governi europei.
Molti di questi Stati ritengono che la Corte EDU interferisca eccessivamente nelle decisioni nazionali, in particolare attraverso le misure provvisorie ex art. 39 del Regolamento della Corte, utilizzate per sospendere respingimenti o espulsioni di migranti.
Il caso simbolo è quello delle sentenze riguardanti i “push-back” alle frontiere di Stati come Polonia e Lituania, dove la Corte ha ritenuto violato l’art. 3 della Convenzione (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e l’art. 13 (diritto a un ricorso effettivo).
Per i governi interessati, tali pronunce avrebbero limitato la capacità dello Stato di difendere i propri confini.
Il nodo giuridico: giurisdizione e sovranità nazionale
Il nodo giuridico: giurisdizione e sovranità nazionale
Sul piano giuridico, il conflitto ruota attorno al principio di sussidiarietà sancito dall’art. 1 della CEDU: spetta anzitutto agli Stati garantire i diritti umani, mentre la Corte di Strasburgo interviene solo in via sussidiaria.
I 9 Stati contestano che, in materia di immigrazione, la Corte abbia superato tale limite, trasformandosi, a loro dire, in un organo di revisione politica più che giurisdizionale.
In particolare, la critica riguarda l’interpretazione dinamica della Convenzione, che avrebbe consentito alla Corte di espandere la tutela dei diritti oltre il testo originario, incidendo su scelte sovrane in tema di sicurezza, ingresso e soggiorno degli stranieri.
Le implicazioni per il diritto europeo
La posizione dei 9 Stati contro la Corte EDU apre un fronte delicato:
- da un lato, mina l’uniformità dell’ordinamento europeo dei diritti fondamentali, basato sul vincolo giuridico delle sentenze della Corte EDU;
- dall’altro, rischia di frammentare il sistema di protezione dei migranti e dei richiedenti asilo, con interpretazioni divergenti tra i Paesi membri.
Un eventuale disimpegno collettivo da Strasburgo avrebbe effetti devastanti: indebolirebbe il ruolo della Corte come garante esterna del rispetto dei diritti umani e metterebbe in discussione l’intero equilibrio tra Unione Europea e Consiglio d’Europa.
Il confronto tra Corte EDU e Stati membri non è solo tecnico.
Tocca un nodo politico più ampio: chi decide i limiti della sovranità europea in materia di immigrazione?
La Corte rivendica un’interpretazione evolutiva della Convenzione, che deve adattarsi ai mutamenti sociali e geopolitici. Gli Stati, invece, rivendicano una legittimazione democratica diretta nelle politiche migratorie, spesso oggetto di consenso elettorale.
Il rischio è che la contrapposizione sfoci in una crisi di legittimità istituzionale, con ripercussioni sulla fiducia reciproca tra i sistemi giudiziari nazionali e la giurisprudenza sovranazionale.
Conclusioni: verso una ridefinizione del ruolo della Corte EDU?
Il caso dei 9 Stati rappresenta un punto di svolta nel dibattito europeo: non più solo una divergenza giurisprudenziale, ma una contestazione politica del principio stesso di giurisdizione sovranazionale.
L’Unione Europea dovrà presto chiarire il rapporto tra la propria architettura giuridica (Corte di Giustizia UE) e quella del Consiglio d’Europa (Corte EDU), per evitare che il sistema di tutela dei diritti umani diventi ostaggio delle tensioni migratorie e delle agende nazionali.
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