Negli ultimi anni l’Unione Europea sta investendo in modo crescente sull’impiego di sistemi di intelligenza artificiale (IA) per la gestione dei confini esterni. Dalle piattaforme di riconoscimento biometrico agli strumenti di valutazione automatizzata del rischio, fino ai sistemi di sorveglianza predittiva basati su big data, l’obiettivo dichiarato è rendere più rapido ed efficiente il controllo dei flussi migratori e la sicurezza interna.

Tuttavia, il crescente ricorso a decisioni automatizzate in contesti così sensibili come quello dei confini solleva questioni cruciali sotto il profilo giuridico e dei diritti fondamentali.

Progetti pilota come iBorderCtrl, finanziato dall’UE, hanno introdotto algoritmi in grado di analizzare micro-espressioni facciali dei viaggiatori durante colloqui virtuali per valutare la veridicità delle risposte.
Altri sistemi, già operativi in alcuni aeroporti e punti di frontiera, combinano riconoscimento facciale, impronte digitali e analisi predittiva dei dati per determinare in tempo reale il livello di rischio associato a un individuo.

Questi strumenti si basano su un’enorme mole di dati personali e biometrici, archiviati in sistemi come EES (Entry/Exit System), ETIAS e Eurodac, che saranno pienamente integrati nei prossimi anni all’interno dell’infrastruttura europea di interoperabilità dei dati.

Il rischio di discriminazione algoritmica: Gli algoritmi di decisione automatica non sono neutrali e le loro valutazioni dipendono dai dati su cui sono addestrati: se tali dati riflettono pregiudizi o squilibri strutturali, il rischio di discriminazione verso determinati gruppi è concreto.
In contesti di frontiera, dove il margine di errore può comportare una negazione dell’ingresso o addirittura una detenzione amministrativa, le implicazioni sono gravi.

Un altro nodo centrale riguarda la trasparenza delle decisioni automatizzate: spesso gli algoritmi operano come “scatole nere”, senza che il viaggiatore o il richiedente asilo possa comprendere su quali basi sia stato giudicato “rischioso” o “inaffidabile”.
Ciò pone in tensione il principio di trasparenza amministrativa e il diritto al ricorso effettivo garantito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

In linea con l’art. 22 del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), ogni individuo ha diritto a non essere sottoposto a decisioni basate unicamente su un trattamento automatizzato, salvo specifiche garanzie, tra cui l’intervento umano e la possibilità di contestare la decisione.

L’AI Act, recentemente approvato, introduce una classificazione dei sistemi di intelligenza artificiale ad alto rischio, includendo anche quelli impiegati per la gestione delle frontiere.
Gli Stati membri saranno tenuti a garantire che tali sistemi rispettino standard di trasparenza, tracciabilità e supervisione umana, con controlli preventivi e valutazioni d’impatto sui diritti fondamentali.

Tuttavia, il confine tra “supporto decisionale” e “decisione automatizzata” resta spesso sfumato, e la tutela effettiva dei diritti dipenderà in larga misura da come le autorità di frontiera applicheranno concretamente le nuove norme.

Tecnologia e diritti: una convivenza possibile?

L’uso dell’intelligenza artificiale ai confini europei rappresenta una sfida paradigmatica: sicurezza e libertà si incontrano in un equilibrio fragile.
Se da un lato l’innovazione può migliorare l’efficienza e contrastare il traffico illecito, dall’altro richiede garanzie robuste contro abusi, discriminazioni e violazioni della privacy.

La domanda di fondo rimane aperta: possiamo affidare alle macchine decisioni che incidono sulla libertà di movimento e sul diritto d’asilo?
La risposta giuridica – e politica – dipenderà dalla capacità dell’Europa di coniugare tecnologia e diritti umani, senza sacrificare questi ultimi sull’altare dell’efficienza.

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