Il rischio migratorio nelle decisioni del T.A.R.: tra discrezionalità amministrativa e tutela dei diritti
Negli ultimi anni, il concetto di “rischio migratorio” ha assunto un ruolo centrale nei provvedimenti amministrativi relativi al rilascio di visti d’ingresso e di permessi di soggiorno. Sempre più frequentemente, i dinieghi motivati dall’amministrazione fanno riferimento a un presunto rischio che lo straniero possa trattenersi in Italia oltre il periodo autorizzato o non fare ritorno nel proprio Paese d’origine. Questo approccio ha sollevato numerose questioni giuridiche, portando i Tribunali Amministrativi Regionali (T.A.R.) ad affrontare il tema in modo articolato e talvolta non uniforme.
Il rischio migratorio viene evocato in sede di diniego del visto o del permesso di soggiorno come valutazione prognostica dell’amministrazione circa la possibilità che lo straniero, una volta entrato nel territorio italiano, non rispetti le condizioni del proprio soggiorno. Tale valutazione rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione, ma deve comunque essere fondata su elementi oggettivi e attuali, come richiesto dalla giurisprudenza consolidata.
L’orientamento del T.A.R.: discrezionalità sì, ma non arbitrio
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che, pur trattandosi di una valutazione ampiamente discrezionale, essa non può mai essere pura espressione di sospetto o pregiudizio. Il T.A.R., in numerose sentenze, ha ribadito che il rischio migratorio va motivato in modo puntuale, con riferimento a circostanze concrete, come precedenti violazioni in materia migratoria, falsi documentali, o l’assenza di legami stabili e verificabili nel Paese d’origine.
Ad esempio, il T.A.R. Lazio ha più volte annullato dinieghi di visto basati unicamente su una generica “instabilità economica” del Paese d’origine del richiedente, ritenendo tale motivazione apodittica e discriminatoria.
A tal fine, Il Consiglio di Stato, con parere del 13 febbraio 2018 n. 369, ha chiaramente formulato due corollari interpretativi:
- La discrezionalità amministrativa in tema di immigrazione è da considerarsi particolarmente lata e, dunque, può essere sindacata in sede giurisdizionale solo per la palese sussistenza di macroscopiche abnormità logiche, manifesta irragionevolezza nonché per travisamento dei fatti.
- Il bene giuridico protetto in via primaria non è l’interesse del richiedente di entrare nel territorio italiano, a quello della Repubblica italiana di prevenire il rischio migratorio.
Pertanto, la sussistenza di un fattore ostativo al rilascio del visto d’ingresso deve essere desunta da elementi obiettivi, indicativi – sul piano inferenziale – di una ragionevole possibilità di un abuso del titolo, e non da una ricostruzione meramente ipotetica (e soggettiva) delle intenzioni del richiedente (in tal senso da ultimo, Cons Stato, Ordinanza 7 febbraio 2025 n. 535).
Nei ricorsi contro i dinieghi di visto per studio, lavoro subordinato (inclusa la Carta Blu UE), o ricongiungimento familiare, il T.A.R. ha spesso accolto le censure laddove l’amministrazione:
- non ha valutato l’effettiva disponibilità di un impiego in Italia con contratto regolare;
- ha ignorato le qualifiche professionali o il livello di istruzione del richiedente;
- ha omesso di considerare i vincoli familiari o patrimoniali nel Paese d’origine;
- ha invocato il rischio migratorio in modo stereotipato, identico per più richiedenti.
In altri casi, però, il T.A.R. ha confermato i dinieghi se fondati su dati precisi e documentati, come l’esistenza di precedenti espulsioni o ingressi irregolari.
Un altro punto delicato riguarda i limiti del sindacato del giudice amministrativo su queste valutazioni.
La giurisprudenza è concorde nell’affermare che il giudice non può sostituirsi all’amministrazione nelle valutazioni di merito, ma può verificare la logica, la coerenza e la ragionevolezza della motivazione.
In assenza di questi requisiti, il provvedimento è viziato per eccesso di potere.
Il tema del rischio migratorio si muove su un equilibrio sottile tra il legittimo esercizio della discrezionalità amministrativa e la necessità di garantire i diritti fondamentali dello straniero.
Il T.A.R., pur riconoscendo l’ampio margine valutativo della pubblica amministrazione, sta progressivamente tracciando confini sempre più netti tra discrezionalità e arbitrarietà, chiedendo motivazioni sempre più dettagliate e individualizzate. Questo orientamento giurisprudenziale rappresenta un importante presidio contro derive generalizzanti e discriminatorie nel governo dei flussi migratori.